Per una scuo­la dell’in­fan­zia

L’ evoluzione degli indirizzi per gli edifici e gli spazi prescolastici in Ticino

La scuola dell’infanzia ticinese – nel corso degli ultimi trent’anni – può vantare, come fiore all’occhiello, edifici prescolastici che sono stati costruiti secondo determinati principi, frutto di una riflessione che rispetta le necessità del bambino.

Data di pubblicazione
23-04-2015
Revision
19-10-2015

A partire dagli anni Sessanta-Settanta si è registrato un forte aumento dell’attività edilizia. In questo periodo la denominazione dell’istituzione prescolastica è passata da asilo infantile (con particolare riferimento ad Owen1) a giardino d’infanzia (di froebeliana memoria2), a casa dei bambini (denominazione ispirata a Maria Montessori3), a scuola materna (legata alla scuola di Brescia delle sorelle Agazzi4) per arrivare – con la Legge della scuola del 1990 – all’odierna definizione di «scuola dell’infanzia», caratterizzata da orientamenti pedagogici propri.

La svolta degli anni Sessanta-Settanta è legata allo sviluppo demografico e alla municipalizzazione di quelle sedi scolastiche che ancora non lo erano (in alcuni casi le sedi erano gestite da fondazioni private o da istituzioni religiose).

Nel primo asilo infantile della Confederazione, sorto a Lugano nel 1844 (grazie ai fratelli Filippo e Giacomo Ciani che si erano ispirati alle esperienze di Owen durante i loro viaggi in Scozia) i bambini ospitati erano un centinaio ed erano seguiti da due maestre. A partire dal 1914 e fino agli anni Settanta i bambini erano circa una quarantina. Il numero massimo di bambini affidati a una maestra è fissato dalla Legge della scuola del 1958 che all’art. 17 afferma: «Non si possono affidare più di 40 bambini ad una sola maestra. Nelle case dei bambini con refezione, il numero massimo degli iscritti può essere ridotto a 35, a giudizio dell’autorità comunale». Il successivo Regolamento del 1960 fissa a 35 il numero massimo dei bambini e quello del 1975 lo porta a 30 allievi per sezione. Si giunge infine alla modifica legislativa del 1988 – attualmente in vigore – che fissa a 25 il numero massimo di bambini per ogni sezione. Il considerevole numero di effettivi ha portato a uno sviluppo edilizio importante nel corso del decennio 1960-1970, sviluppo favorito anche dalle buone condizioni economicofinanziarie del Cantone e dei Comuni.

L’esigenza di creare nuove strutture adeguate ai bisogni del bambino in età prescolare ha evidenziato la particolare importanza dello spazio, interpretato in funzione psicopedagogica e didattica, conducendo il Dipartimento della pubblica educazione a emanare una direttiva, nel settembre 1967, per regolamentare la necessità di spazio minimo in rapporto al numero dei bambini iscritti. Nel Rendiconto al Consiglio di Stato del Dipartimento educazione del 1967 (a p.238) si legge: «La direttiva ricordata [ndr. 7 mq complessivi per bambino] pone limiti alquanto restrittivi: sono però limiti necessari per garantire lo spazio sufficiente allo svolgimento regolare della giornata educativa nella scuola materna, poiché in nessun’altra scuola – come in quella per il bambino – lo spazio è in funzione psicologica, pedagogica e didattica, oltre che in funzione igienica».

Può essere utile una parentesi di tipo pedagogico-didattico, attinta dal primo documento del Dipartimento della pubblica educazione Informazioni sull’organizzazione e sulle attività della scuola materna che risale al 1978. La pagina 19 è dedicata agli obiettivi generali della scuola dell’infanzia che – fondando le radici nei «padri» dell’educazione della seconda infanzia – richiama fortemente la psicologia dell’età evolutiva di stampo piagettiano.5 «… da parte nostra vedremmo così sintetizzati gli obiettivi generali dell’educazione prescolastica: permettere al bambino di esplorare, di conquistare, di costruire l’ambiente e di costruirsi costruendolo.

Più semplicemente (e con un uso dei termini nel loro senso più ampio) abbiamo un IO nel tempo e nello spazio in continuo rapporto dinamico.

Di conseguenza il ruolo essenziale della scuola materna risulta quello di

- favorire nel bambino una formazione e uno sviluppo equilibrato della sua personalità;
- permettergli un passaggio, il più possibile armonioso, tra l’ambiente familiare e quello scolastico;
- facilitare il suo inserimento nella società;
- integrare l’educazione che riceve in famiglia.

Da queste considerazioni scaturiscono alcune caratteristiche-chiave della scuola materna:

1. il gioco (inteso nei suoi vari aspetti), considerato come la più naturale e più produttiva occasione di apprendimento, permette al bambino di mettere in azione le sue capacità, di sviluppare la sua autonomia, di integrarsi nella vita di gruppo;
2. un ambiente stimolante, la possibilità di scegliere le proprie occupazioni portano il bambino allo sforzo liberamente accettato, a perseverare nell’attività, alla disciplina personale;
3. l’attività individuale, alternata a quella di gruppo o di sezione, favorisce, tramite un comportamento «per prove ed errori», le prime «sperimentazioni», la «ricerca», la comunicazione, l’espressione, il rispetto dell’opinione degli altri;
4. un materiale concreto e variato stimola la partecipazione attiva del bambino che costruisce così le basi di ogni apprendimento futuro;
5. l’attitudine del docente che suggerisce, stimola, aiuta, guida, incoraggia, grazie a un valido e equilibrato rapporto educativo «maturante per il bambino come per chi educa»
- non permette il sopravvento di un’area di attività su un’altra;
- valorizza i risultati acquisiti in ogni direzione, cosciente del fatto che il processo che porta all’azione è almeno importante quanto il risultato ottenuto.
«Il bambino di circa quattro anni, arricchisce, elabora, organizza e riorganizza il suo modello del mondo … attraverso l’esplorazione e la sperimentazione. I tipi diversi di oggetti e di avvenimenti che può riconoscere, a cui può adattarsi, che sa ricordare e ricreare nell’immaginazione aumentano costantemente …Il bambino è l’artefice del suo sviluppo.»6

Sono già chiari gli obiettivi di questa giovane istituzione chiamata scuola materna, che nel 1990 diventa scuola dell’infanzia. Quando si usa il termine scuola dell’infanzia si intende alludere a un ambiente educativo specifico, più ricco di stimoli di quello familiare; si vuole rilevare il carattere di struttura educativa e socializzante in funzione dello sviluppo dei bambini che ne sono i protagonisti attivi, e a servizio dei quali gli adulti – donne e uomini – operano in quella istituzione che di fatto costruisce il primo gradino del sistema scolastico, appunto la «prima scuola» dei bambini tutti.

Una scuola dell’infanzia volta verso il 2000 che si propone come luogo dove sono offerte ai bambini dai tre ai sei anni esperienze specifiche (pensate e programmate intenzionalmente) di gioco, di esplorazione, di comunicazione e di apprendimento, in rapporto a realtà varie e articolate, organizzate nello spazio e nel tempo in modo diverso dal mondo familiare. Una scuola dell’infanzia che guarda al futuro ma che riflette e considera una memoria storica verso i modelli del passato: il bambino sociale di Owen, il bambino ludico di Fröbel, il bambino laborioso della Montessori, il bambino domestico delle Agazzi.7

«Abbandonate le contrapposizioni storiche tra modelli di educazione prescolastica, l’uno centrato sulle funzioni ludico-affettive, l’altro tutto volto agli aspetti cognitivi, si è giunti oggi ad una sinergia tra le diverse componenti che possono stimolare il bambino ad appropriarsi dell’ambiente che lo circonda e dare un significato agli eventi del mondo. Di conseguenza, in una visione interattiva dello sviluppo, la scuola dell’infanzia deve promuovere la formazione di una personalità ricca e armoniosa del bambino, favorendo la curiosità verso la realtà che lo circonda, la motivazione all’apprendere, la fiducia nelle proprie competenze, la capacità di costruire – in maniera collaborativa – competenze e conoscenze nuove e il rispetto delle norme sociali.»8

Il periodo dal 1960 al 1975 è stato caratterizzato da una straordinaria creatività «… si poteva innovare, realizzare spazi bene attrezzati, edifici ad un solo piano affacciati su giardini e spazi verdi. Arrivati tempi più difficili abbiamo costruito anche edifici su più piani.

Non si trattava soltanto di economizzare, ma anche di riprodurre, in ambito scolastico, le caratteristiche dell’habitat e della vita quotidiana dei bambini».9

Per completare l’excursus storico e pedagogico legato alla concezione dello spazio nella scuola dell’infanzia del Canton Ticino risulta utile ricordare che – pur mantenendo la «primitiva» concezione della direttiva sugli spazi degli anni Settanta, soprattutto a partire dagli anni Novanta al Duemila, si è dovuto tener conto di una diversa realtà finanziaria per cantone e comune e anche dell’evoluzione del prescolastico nelle sue finalità. Per gli spazi interni, vista l’opportunità di scambi tra sezioni – considerata la compresenza delle tre età – non si è più richiesto un salone di movimento per ciascuna sezione, ma uno solo da usare in rotazione durante la giornata educativa; si sono curati maggiormente i percorsi, si è pensato a sale igieniche più razionali e con i servizi più vicini alla realtà della quotidianità familiare e meno «montessoriani», curato il rapporto interno-esterno ecc.

Interessanti così gli scambi tra autorità comunali e preposti cantonali per l’edilizia scolastica e utili quindi le Schede edilizie (le prime furono appunto quelle per la scuola dell’infanzia, seguite da quelle per gli altri settori scolastici), punti di riferimento importanti per gli architetti, da cui partire per una condivisione progettuale, ben inserita nel territorio, funzionale per il bambino e non da ultimo esteticamente invitante.

Le riflessioni e le esperienze maturate nel corso degli anni hanno costituito la base per i contenuti delle Schede tecniche per l’edilizia scolastica redatte dal Cantone. Nel documento dedicato alle scuole dell’infanzia le funzioni principali di questa strutture vengono definite nel seguente modo.

«I mutamenti della realtà, della famiglia, dei ritmi e stili di vita sottolineano, più che in passato, la necessità di dare al bambino degli spazi educativi in risposta alle sue istanze di movimento, di esplorazione, di gioco. Nella scuola egli vede e “sente” in forma globale tre componenti: le strutture edilizie, le persone che vivono nella scuola, le attività che si svolgono in essa. È quindi opportuno pensare a spazi ampi, diversificati, articolati, che tendono a promuovere, suggerire, stimolare e favorire l’esplicazione delle molteplici attività infantili. Sia la struttura della scuola, sia il suo arredamento devono essere visti in chiave psicopedagogica perché per il bambino i locali, le attrezzature e il materiale didattico si caricano di significati e costituiscono un linguaggio che può assumere connotazioni positive o negative. L’edificio, gli spazi e gli arredi della scuola dell’infanzia, forse più di ogni altra scuola, devono essere pensati e pianificati attentamente in funzione degli scopi che la scuola stessa si prefigge:

- un edificio "vivo”, che proponga interessanti ed irrinunciabili rapporti con lo spazio che lo circonda, alla ricerca di un’“aula all’aperto”, dove il movimento assume ritmi più dinamici ed allo stesso tempo educativi, dove il bambino esplora l’ambiente che lo circonda;
- spazi interni che, oltre a tessere strette relazioni con l’esterno, sono un veicolo didattico nella loro forma e nella loro composizione, che guidano il bambino al gioco, alla socializzazione con i compagni e con la maestra, alla soddisfazione delle proprie esigenze di esplorazione e conoscenza;
- arredi e oggetti mobili e componibili, non fissi, coi quali i bambini possono trovare un ambiente adattabile ad esigenze diverse e con i quali possono ricreare il proprio mondo.»10

Negli ultimi tempi più che nuove costruzioni si sono realizzate ristrutturazioni con ampliamenti e soprattutto inserimento di sezioni prescolastiche in spazi adibiti alla scuola elementare, ovviamente dove l’adattamento fosse fattibile.

Questo fatto – motivato da un calo demografico nelle primarie e da un fabbisogno nel prescolastico – ha portato a esperienze positive e funzionali, giustificate anche da ragioni di continuità pedagogica tra settori, aspetto trattato negli Orientamenti programmatici per la scuola dell’infanzia del 2000, citati nel presente articolo.

Note

  1. Robert Owen, imprenditore e filantropo scozzese (1771-1858), «traccia delle ipotesi di scolarizzazione infantile imperniate su linee a chiara dominanza etico-sociale ed affettiva, espressione di una realtà ambientale che chiedeva precisi strumenti educativi di socializzazione e di formazione del carattere per un’infanzia i cui vissuti abbandonici (la vita di strada) e di quotidiana frustrazione (la miseria sociale in cui era relegata) avevano assunto un carattere endemico».

  2. Friedrich Fröbel, pedagogista tedesco (1782-1852), realizza il suo Kindergarten «dominato dalle dimensioni estetica e fisica della personalità infantile le quali trovano nel gioco il momento unificante del piano cognitivo e del piano espressivo-creativo».

  3. Maria Montessori, filosofa, pedagoga, prima donna in Italia a laurearsi in medicina nel 1896 (Ancona 1870 - Olanda 1952), «reclama una casa del bambino» in cui si concedano spazio e apparecchiature didattiche apposite ai processi psicomotori dell’infanzia, interpretati come processi di unificazione dialettica tra il piano del pensiero e il piano dell’azione».

  4. Rosa (1866-1951) e Carolina (1870-1943) Agazzi, si battono «per rendere il più possibile «materna» la scuola infantile, contrappuntandola dei «segni» ricorrenti nella vita domestica, e ...[verso] la libera crescita della personalità infantile: crescita che chiede soltanto un ambiente dai marcati toni familiari e dalla accentuata spontaneità espressivo-creativa».

  5. Jean Piaget (Neuchâtel 1896 - Ginevra 1980), conosciuto a livello mondiale, è il fondatore dell’epistemologia genetica. Noti i suoi studi sullo sviluppo cognitivo del bambino (teoria dell’assimilazione e accomodamento) e sugli stadi (4) dello sviluppo che influenzarono ampiamente l’approccio pedagogico nell’insegnamento. Molteplici le sue pubblicazioni: da Il linguaggio e il pensiero nel fanciullo del 1955 a La genesi del numero nel bambino del 1968 ; da L’epistemologia genetica del 1971 a La formazione del simbolo nel bambino. Imitazione, gioco e sogno. Immagine e rappresentazione del 1972.

  6. Dipartimento della pubblica educazione – Ufficio educazione prescolastica – Informazioni sull’organizzazione e sulle attività della scuola materna, 1978, ristampe 1983, 1987.

  7. Per altri approfondimenti di carattere storico e legati alla formazione delle insegnanti vedi Maria Luisa Delcò, Dagli asili del 1895 alla scuola dell’infanzia del 1995, in Cent’anni di scuola, Dadò, Locarno 1995, pp. 187-204.

  8. Divisione della scuola – Ufficio dell’educazione prescolastica – Orientamenti programmatici per la scuola dell’infanzia – approvati dal Consiglio di Stato il 29 agosto 2000.

  9. Ticino pioniere nell’architettura delle scuole d’infanzia, «Corriere del Ticino», 31 dicembre 2004.

  10. Sezione Logistica – Edilizia scolastica, schede tecniche – Scuola dell’Infanzia, Bellinzona 2010.

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