Af­fer­ra­re l'in­cal­co­la­bi­le

«Qual è la forma migliore, o addirittura la forma corretta? Questa rimarrà la domanda cruciale» - Heinz Isler, 1997

Data di pubblicazione
05-08-2024

Archi riprende in questo numero un filone storico dell’ingegneria elvetica già indagato in precedenza presentando personalità e rapporti significativi del dibattito internazionale del XX secolo ( Archi 3/2018, 5/2019, 5/2020, 5/2021). Il tema si riallaccia inoltre alla questione della specificità svizzera nell’impiego della maquette e alle peculiarità del modello fisico quale strumento di soluzioni strutturali innovative, per le quali in passato i procedimenti di calcolo analitico disponibili erano insufficienti (Archi 6/2020).

In questo ambito, Heinz Isler (1926–2009) è uno degli ingegneri più noti per la progettazione di volte sottili in cemento armato, sia semplici gusci definiti attraverso il principio della membrana pneumatica, sia quelli più complessi configurati con il metodo del telo sospeso. Il suo obiettivo era costruire con minimo dispendio di materiale e di tensione, esplorando le leggi della natura in quanto processo biologico. La sua ricerca si contraddistingue per l’uso di modelli fisici adatti a trovare – non solo verificare – la forma ottimale, fonte primaria di conoscenza per indagare le possibilità statiche di tipologie non convenzionali durante il ciclo di progettazione e costruzione. Non a caso, la critica colloca il suo approccio sperimentale nel quadro più ampio delle esperienze del form finding: metodo efficace per la progettazione concettuale delle strutture che genera geometrie impossibili da esprimere solo con equazioni matematiche. Molti autori hanno analizzato nell’ultimo decennio similitudini e differenze con figure coeve quali Frei Otto (1925-2015), Sergio Musmeci (1926-1981), Félix Candela (1910-1997) o Ulrich Müther (1934-2007), riconoscendo debiti e legami con i pionieri dell’orientamento empirico quale prassi privilegiata per vagliare il comportamento delle strutture.

Pregio del testo di apertura è infatti quello di collocare la produzione di Isler all’interno di una timeline generazionale che si avvia con l’affermazione dell’ingegneria moderna, individuando principi resilienti e punti di rottura nei passaggi fondamentali del percorso di perfezionamento strutturale: la sua sarà la generazione dei «greatest» – ricorda Iori –, quella in cui «l’ottimizzazione acquista un nuovo contenuto estetico». Una lettura in cui «Isler non ci appare più come un solitario sperimentatore [...] ma come un ingegnere perfettamente in linea con il suo tempo [...]». Per di più Boller e D’Acunto sottolineano che la sua metodologia di lavoro e l’ardita concezione spaziale dei suoi gusci sottili esercitano un’influenza rilevante sulla progettazione strutturale contemporanea: «In questo contesto il lavoro di Isler è ancora più attuale. I suoi modelli fisici rappresentano dispositivi di ricerca in piccola scala utili a risolvere problemi legati al rapporto tra forma, flusso di forze e materiali».

La prolifica attività professionale, svoltasi nello studio di Lyssachschachen e nel giardino della sua casa di Zuzwil (laboratorio all’aperto di test ingegnosi con l’acqua, la neve e il ghiaccio), registra nel corso della sua carriera una produzione di oltre mille gusci in calcestruzzo o in materiali plastici, tra cui alcuni costruiti nel Cantone Ticino, illustrati nelle schede delle prossime pagine con disegni anche inediti provenienti dalla documentazione del fondo Isler, conservato nell’Archivio gta dell’ETHZ.

Dai contributi seguenti Isler emerge come uno dei protagonisti della modellazione strutturale, tecnica sperimentale che nasce e si diffonde in una precisa fase della cultura progettuale, tra gli anni Trenta e Settanta del Novecento. Retrospettivamente egli diventa un testimone di spicco di quel periodo di transizione della disciplina verso il nuovo millennio, ormai superato dalle inedite potenzialità offerte dalle tecnologie informatiche e dall’uso del modello virtuale in campo edilizio. Come segnalano ricerche recenti, nonostante alcuni di questi nuovi strumenti siano stati utilizzati da Isler per automatizzare i calcoli ripetitivi o verificare risultati, egli rimase sempre fedele ai modelli fisici adoperati nell’iter progettuale, oggi riconosciuti come precursori dei modelli computazionali (Sardone; Ranaudo). Lo scetticismo dell’ingegnere svizzero verso i nuovi orizzonti della modellazione parametrica si esprime esplicitamente in uno dei suoi scritti (Moderner Schalenbau,1992), che lascia ancora aperte una serie di questioni sul ruolo dell’intuizione in un mondo dominato dalla cultura digitale: «Un ulteriore pericolo dei calcoli elettronici – avverte Isler – risiede nel fatto che il computer può rispondere solo alla domanda che abbiamo formulato. Non è in grado di dare una risposta a interrogativi che non abbiamo enunciato perché non ci siamo accorti di certi problemi o non li abbiamo sperimentati. Il modello olistico (fisico) invece, è in grado di farlo».

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