Il tem­po del­la co­stru­zio­ne

L’architettura contemporanea si delinea attraverso progetti e scritti che rivelano temi chiave del progettare oggi. Senza protagonisti assoluti né opere definitive, l'articolo esplora nuove traiettorie, riconsiderando metodo storico, archivio e documentazione nel tempo di crisi.

Data di pubblicazione
11-02-2025

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Prologo
Al termine del primo quarto del XXI secolo, grazie a progetti, realizzazioni e scritti di architetti e collettivi che hanno intrapreso il loro percorso durante quel periodo, in momenti diversi a seconda delle generazioni, è possibile iniziare a rintracciare dei temi che consentano di definire alcune caratteristiche dell’atto del progettare nel contemporaneo. Nel lasciare in incognito autori ed edifici, il tempo della costruzione intende suggerire il possibile canovaccio di un «de re aedificatoria» senza alcun protagonista eroico e senza alcuna opera certa, e da redigere nella speranza di poter distillare, dal magma contemporaneo di ricerche, principi e traiettorie per un progetto nel tempo di crisi. La stessa disciplina della storia, nelle sue varie articolazioni, compresa quella della costruzione, potrebbe ricorrere ai propri metodi analitici anche per dissezionare gli accadimenti contemporanei, senza più credere nell’attesa di un distacco temporale tale da garantire una certezza di giudizio. Il tempo della ricerca si è contratto sullo sfondo dei sistemi digitali; e anche in forza di quei sistemi, le nozioni di archivio e di documento, e gli strumenti, i modi e le cadenze del metodo storico sono mutati al punto da essere irriconoscibili, sospinti dal progetto nel tempo di crisi.

Opera invisibile e condizioni nel tempo
Torniamo ancora una volta a osservare il disegno prospettico dell’ossatura che venne delineato sullo sfondo della catastrofe della prima guerra mondiale e riconsideriamone le strategie di costruzione alla luce delle condizioni attuali, delle aspettative di partecipazione alla realizzazione del proprio habitat e della non più derogabile precisazione dei fondamenti stessi del progetto per un’architettura che sappia traversare le urgenze e le crisi del tempo attuale, al fine di riconquistare una misura secolare nel trascorrere delle esistenze. Quella ossatura contemplava la distinzione di tecniche, materiali e lavoro tra l’edificare a cura di un’impresa gli elementi essenziali del riparo delineati dall’architetto, e il completarne il cantiere con la possibilità del riuso delle macerie per riedificare, ognuno con le proprie mani, le mura della sua casa. Il fatto che la sola costruzione dell’ossatura fosse tutto ciò che restava della creazione nelle mani dell’architetto fattosi costruttore, e che i componenti di quella ossatura fossero disposti affinché i muri li riparassero contro le intemperie facendoli scomparire, risuona come l’incipit di un programma politico che sta ben al di là del tempo della sua ideazione: l’opera invisibile. 
Uno dei più grandi costruttori del secolo scorso tradusse in parole quanto stava racchiuso in potenza nel disegno prospettico dell’ossatura. Sull’orizzonte delle macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale, si staglia il principio che quel costruttore aveva maturato in decenni di esperienze sui cantieri e attraverso una sequenza logica di progetti: che l’edificio sia articolato in parti ben distinte per la capacità di durata nel tempo, la quale deve essere modulata attraverso una costruzione da congegnare affinché sia possibile apportare le modifiche richieste dalle condizioni passeggere, nella permanenza dei lineamenti portanti fondamentali. Opera invisibile e condizioni di tempo nel costruire vengono consegnate in eredità dal secolo trascorso, per il progetto nei momenti di crisi.

Il collage
La generazione di architetti operante dall’inizio del nuovo secolo ha deciso di non seguire le traiettorie dei suoi autorevoli maestri, per aprirsi a un orizzonte culturale dove persino le esperienze millenarie sono diventate materiali del pensiero. Il suo costruire è tornato a essere fondato su sostanza tecnica e misura ideale, per allontanarsi dalle meraviglie tecnologiche messe al servizio degli eletti del neo-liberalismo.
Se il disegno prospettico dell’ossatura aveva indicato l’orizzonte di un sistema di costruzione alternativo, all’inizio del nuovo secolo è la costellazione di collage digitali a sottendere un atto critico mirato a sospendere, sino a eliminarle, le certezze nella pulsione al cambiamento permanente di icone sempre diverse. L’indifferenza per il costruire fissa, attraverso il collage, il momento storico del distacco e sancisce l’assunzione di una inattualità che è di segno opposto alla volontà di controllo del sistema dichiarata dal disegno prospettico dell’ossatura. Il distacco è stato strategico. Esso annunciava una riorganizzazione della materia secondo la misura di un tempo non più sottomesso al cambiamento permanente. Le due forme essenziali del costruire, il recinto e l’ossatura, elette dalla nuova generazione di architetti a fondamento del progetto culturale di quel distacco, non sono state inventate. Ma ciò che è accaduto a quelle forme è stato tale da modificarne la sostanza stessa, perché recinto e ossatura sono stati trasformati in concetti liberati dai materiali che ne avevano sostanziato l’esistenza stessa, al punto che una forma specifica rimandava a un materiale specifico, diventando entrambi sinonimi. Eletti a concetti, il recinto e l’ossatura hanno potuto prestarsi a diventare strumento per delineare una diversa idea di costruzione.

Il recinto
Nel corso dei secoli il termine di recinto ha assunto valori diversi, sino a generare una vera e propria teoria sulle origini dell’architettura. Ma solo nei primi anni del nuovo secolo, il recinto si è dimostrato in grado di indicare un altro inizio in atti fondamentali e di una geometria essenziale che sono frutto del desiderio di comprendere lo spazio della contemporaneità. La forma del recinto è riuscita a fissare, in sole quattro mura, l’impulso a una mite rivolta contro le icone imperanti nell’architettura del cambiamento permanente. La scoperta del potere eversivo del recinto è sopravvissuta alle prime critiche, forte anche di modelli apparsi negli ultimi decenni del secolo scorso. 
Il sapere della costruzione, la conoscenza tecnica dei materiali e ogni altro genere di nozione scientifica sull’arte di manipolare la materia, sono stati rimossi dall’intenzione di offrire un frammento di paradiso. Dopo essere apparso nelle sembianze di muro di terra trasfigurato dal collage digitale in candida muraglia, il recinto ha assunto le sembianze del muro di mattoni per rappresentare, nella sostanza stessa del materiale lasciato a vista, una rovina tornata a essere abitata da una collettività. Quei mattoni danno consistenza espressiva al sentimento di protezione; possiedono un’aura culturale e una dimensione teorica che trascendono la verità della loro apparecchiatura; e agiscono da meccanismo mnemonico per ristabilire affinità di idee. La sostanza primaria della materia è intellettuale e non ha nulla dell’argilla. Il legno viene incluso nel recinto di mattoni, e messo al riparo da quello schermo, secondo rapporti che rimandano al disegno prospettico dell’ossatura ideata per essere protetta dal muro. Travi e pannelli si offrono per accogliere le attività vitali di una collettività, nella forma di un grande mobile abitabile o di una boiserie trasformata in dispositivo spaziale. Il frammento di natura custodito dalla costruzione assume le sembianze dell’hortus conclusus che sin dall’inizio del nuovo secolo riappare in varie forme, a suggerire quale sia il segreto valore del recinto. I materiali appartengono al catalogo di quelli legittimati a far parte di una costruzione in sintonia con le crescenti preoccupazioni ambientali; ma sono convocati per essere apparecchiati in tessiture primordiali e dare forma a un’idea di luogo delimitato per un vivere assieme in modi semplici. L’intensità teorica, che promanava dalla forza di astrazione di opere analoghe del secolo scorso, è stata dissolta in una tavolozza di colori, tessiture e venature di una materia messa a custodire scene di vita e frammenti di natura. Il modo di mettere assieme i materiali, secondo rapporti di contrapposizione evidente e senza contaminazioni, fa si che il muro rassicuri circa la permanenza del recinto, e la carpenteria alluda a una organizzazione transitoria degli accadimenti vitali protetti da quel recinto, secondo tempi diversi del costruire.

La stanza e gli elementi
Le stanze uguali sono una conseguenza dell’aspirazione a disfarsi di ogni genere di normalizzazione degli alloggi e di categorizzazione in tipi, per disvelare la particella essenziale dello spazio della contemporaneità. La loro apparizione va di pari passo alla riscoperta del valore del delimitare un luogo con un recinto. Le stanze uguali appaiono essere la quintessenza dell’atto della recinzione, trasposto alla scala dell’abitare in comunità. In forza della stanza sempre uguale, il progetto non è più costretto a dipendere dalle regole codificate in manuali e regolamenti edilizi sul corretto funzionamento di ogni singola stanza e sulle sue misure più appropriate in una determinata frazione temporale. Elevato a teorema della instabilità della vita e già verificato in una serie di opere, il criterio della stanza uguale si trova ancora nell’attesa della risposta alla questione se esso sia in grado di generare un proprio sistema di struttura, con materiali adeguati alla sua qualità, oppure se debba contare sull’ossatura, sul muro o su loro declinazioni logiche.
Nell’interrogare quale possa essere la costruzione idea­le per il teorema della stanza uguale, ripetuta su più piani, si dischiude un catalogo di variabili tecniche per realizzarne il sistema di struttura, dove quelli che appaiono muri possono essere articolati in settori fissi e altri modificabili, con materiali adeguati a trascrivere i caratteri diversi dei settori, dai pilastri e dai portali in acciaio o in calcestruzzo armato, ai pannelli in compensato o in materiali riciclati. La flessibilità, che era stata indicata dal disegno prospettico dell’ossatura, può così essere riassorbita nell’articolazione di materiali diversi per un nuovo concetto di muro adeguato al sistema di stanze uguali e a una nuova misura di tempo del costruire. Per quanto il muro tradizionale potesse possedere delle cavità per alloggiarvi ripiani chiusi da una boiserie, l’entità che sta nascendo nel corso del nuovo secolo discende da una revisione critica dell’ossatura che non si limita più, come nei primi decenni del secolo trascorso, a includere pareti-mobili nelle sue campate per definire stanze diverse. 
Lo scardinamento delle convenzioni abitative a seguito della meccanica della stanza conduce alla invenzione di spazi condivisi che i materiali di finitura concorrono a esaltare quale luogo collettivo. Materiali, tecniche e strutture possono anche essere selezionati, commensurati e organizzati a partire dal luogo collettivo, in modo che vi sia una crescita nel tempo il cui epicentro è proprio quel luogo, che pertanto genera un suo sistema di struttura, attorno cui si cristallizzano gli altri componenti in materiali anche diversi per vari generi di riparo adatti a usi sociali differenziati e variabili nel tempo. La generazione operante dall’inizio del nuovo secolo ha proposto vari modelli per il luogo collettivo che talvolta ha assunto le sembianze di un atrio monumentale. Poco prima dell’apparizione del disegno prospettico dell’ossatura era già stata indicata la strategia della costruzione nel tempo per il luogo di un lavorare collettivo, riuniti assieme nell’epicentro dell’edificio.
Divisori, pareti, muri, pilastri sono tutti elementi sottoposti a una revisione critica del loro statuto, per corrispondere alle nuove forme di recinto e ossatura. Quella revisione si impone quale atto preliminare per poter giungere alla precisazione materica della sostanza tecnica degli elementi la quale non potrà darsi, per una nuova economia ambientale di lunga durata, se non dopo aver precisato lo statuto di quegli elementi in una revisione generale della costruzione. Il processo di distruzione critica delle consuetudini del progetto non riguarda soltanto l’identità di ciò che debba essere, nella materia e nella forma, un divisorio, una parete, un muro oppure un pilastro. L’estensione di quella distruzione critica coinvolge l’altro elemento fondamentale del costruire che nella terminologia prende il nome di solaio. Nel corso dei secoli il solaio ha resistito alle trasformazioni della sua tecnica e dei suoi materiali. A tratti è apparsa possibile la modifica della sua entità quando quel termine è stato accompagnato da attributi che suggerivano l’apparizione di un solaio capace di generare un suo proprio spazio, senza tuttavia rimetterne in discussione lo statuto della continuità, dettata da logiche economiche e di mercato. È possibile che il termine solaio sia di ostacolo agli sviluppi tecnici necessari alla trasformazione di quell’elemento nel quadro di una costruzione di lunga durata, se quel termine non viene coniugato con altri come quello di piattaforma la quale contempla una mobilità e una instabilità di vario genere – dalle piattaforme girevoli o a ponte mobile per la manovra di mezzi pesanti, a quelle slittanti per i rapidi cambiamenti di scene teatrali, a quelle provvisorie per lavori saltuari, aeree o montate su carrelli oppure su colonne telescopiche, alcune delle quali erano già apparse nella costruzione di solai verso la fine del secolo scorso. Ma non è più il tempo dell’invenzione tecnica efficace per l’ottimizzazione della materia, per la velocità della sua messa in opera o per le merveilles di architettura. La trama dell’armatura tesa in orizzontale tra i pilastri conduce alla soppressione della materia al centro del solaio, sostituita da un vuoto da occludere con chiusure mobili e modificabili a piacere nel corso del tempo. Le occlusioni provvisorie sono frammenti di piattaforma per la conquista di una trasformabilità estesa alla sezione di una struttura, secondo una permanenza nel tempo di poche linee sempre più aperta a funzioni variabili, per la conquista di una nuova prospettiva secolare.

Epicentri e ordini
La costruzione ottenuta con una mescolanza di materiali diversi e scelti per il loro comportamento nel tempo si sta delineando quale principio essenziale, al posto del monolite che si era affermato sulla spinta della conquista del mercato edilizio da parte delle industrie del metallo prima, e di quelle del calcestruzzo armato dopo. Una costruzione simile era apparsa nel momento di crisi della crescita della struttura monolitica, quando metallo e cemento erano stati messi assieme per vincere resistenze statiche e finanziarie. La costruzione composita del nuovo secolo nasce sulla spinta di tutt’altre traiettorie, e sullo sfondo della ricerca di strategie di progetto per l’economia ambientale di lunga durata. Il capitello composito nacque da una mescolanza di ionico e corinzio per celebrare l’avvento di un’epoca imperiale. La costruzione composita sta sul limitare della crisi di un impero che era risorto nelle sembianze del capitalismo. Non è da escludere che nel futuro assetto globale quel genere di costruzione possa prendere sembianze politiche affini a quelle che generarono il capitello composito (se fosse vera questa prospettiva, allora staremmo assistendo all’insorgere dei primi elementi costruttivi del capitalismo ecologico).
Nella prospettiva di una costruzione sempre più composita, la mescolanza dei materiali diversi viene fissata secondo vari gradienti cui concorrono in modo decisivo le misure generali di un’opera. 
Nella costruzione composita più sofisticata, delineatasi in anni recenti per una struttura a sviluppo verticale, i materiali vengono organizzati secondo strategie che perseguono idee contrapposte nella definizione della meccanica generale dell’opera. La ricerca di un perimetro aperto, nella fissità attraverso il tempo di tutti i componenti in materiali diversi, produce una sequenza concentrica, ripetuta identica ai vari piani. L’aspirazione a edificare in modo durevole, secondo i ritmi di un abitare transitorio, genera un’articolazione di ordini incastonati uno nell’altro, nello sviluppo verticale. Nei diversi casi, gli stessi materiali obbediscono a strategie culturali che sono indipendenti da ogni tecnica e approdano a una mescolanza ottenuta secondo logiche contrapposte, nella comune ricerca di risposte ai nuovi dilemmi del costruire che solo il progetto può essere in grado di indicare.
La distribuzione della materia ad andamento concentrico contempla un solido epicentro che ne stabilizza e controventa il sistema generale, per terminare negli strati più leggeri lungo il perimetro. La sequenza dall’epicentro al perimetro può comprendere un possente calcestruzzo armato, una robusta carpenteria di legno e delle sottili aste di metallo, in modo da riparare i materiali dalle intemperie e aprire la struttura alla luce e al panorama. 
La sequenza di materiali in una costruzione composita, che sia orientata a facilitare l’asportazione di parti modificabili nel tempo, può arrivare a produrre un ordine colossale permanente in grado di rendere visibili i componenti della propria mescolanza. L’idea e i lineamenti di quel genere di ordine erano stati dimostrati con la chiarezza di un teorema alla metà del secolo scorso, con la strategia di un costruire nel tempo. Nella costruzione composita, l’ordine colossale è innalzato per una durata plurisecolare. Entro le sue campate viene montata la stratificazione di piani di un ordine secondario, che è costruito in materiali di una durata più breve, e quindi modificabili nelle disposizioni spaziali secondo il loro ciclo vitale, senza mettere in crisi l’ordine colossale. Le condizioni permanenti possono essere assicurate da una ossatura in calcestruzzo armato di colonne e solai, irrigidita da un nucleo dello stesso materiale che ospita i collegamenti verticali; le condizioni passeggere possono essere tradotte in una carpenteria di legno, o in materiali riciclati. La materia, qualora venga lasciata a vista, non si limita a corrispondere al principio di verità professato nei due secoli precedenti, ma obbedisce al compito di trasformare il tempo di vita dei materiali nei due ordini di struttura in forma d’espressione. A essere celebrato, nella nuova accezione di monumento che scaturisce dall’ordine permanente e da quello transitorio, è il tempo.

Autocostruzione
Una volta assunto a fondamento, per l’economia ambientale di lunga durata, il principio della costruzione composita, la mescolanza dei materiali si presta a rimettere in discussione il potere di controllo esercitato dal progetto e il ruolo dell’architetto nella precisazione dell’opera, e in termini del tutto diversi da quelli apparsi nel secolo passato. Nel seguire il ciclo delle lavorazioni, il peso specifico dei materiali, le misure convenzionali, i processi della fabbricazione particolari a ognuno dei materiali, nell’osservare le operazioni della manifattura nell’officina, nell’industria e nel cantiere, sino a soppesare la maneggevolezza degli attrezzi più adeguati alle giunzioni dei pezzi e alle finiture, si arriva a meglio comprendere le ragioni dell’affermarsi, nella costruzione per la lunga durata, di una particolare accezione della messa in opera del legno e dei suoi derivati e surrogati. Quel materiale è apparso a molti possedere le qualità per poter riaprire l’ingresso della partecipazione a coloro cui sono destinate la concezione e l’esecuzione dell’opera. Il progetto della costruzione composita torna a considerare i tempi e i materiali nella prospettiva di offrire un sistema generale e collettivo, edificato con i caratteri della permanenza e con i macchinari e le maestranze di una o più imprese, entro cui ognuno possa esercitare il suo sapere costruttivo, eradicato dalla cura, in cui era stato circoscritto, di una proprietà isolata su un terreno accanto ad altre. Per quanto nella essenza di materia non vi sia differenza alcuna, tuttavia i materiali dell’autocostruzione collettiva non sono quelli dell’autocostruzione del riparo per un nucleo di persone, proprio perché essi stanno dentro un più generale sistema di struttura che impersonifica, nel materiale e nei lineamenti, l’esistenza di una moltitudine di vite diverse. 
La costruzione composita, nella declinazione offerta con l’autocostruzione, possiede caratteri analoghi non tanto a quella caratterizzata dalla distribuzione della materia ad andamento concentrico, quanto piuttosto a quella con gli ordini incastonati uno nell’altro. Rispetto a quest’ultima, la costruzione che contempla l’autocostruzione si distingue per le modalità di realizzare il riparo e per il tempo di sussistenza di quel riparo nell’ordine generale comunitario. La costruzione composita a ordini incastonati uno nell’altro obbedisce al tempo dei materiali diversi e alla loro consunzione; quella dell’autocostruzione al ciclo di vita degli esseri viventi, e può essere fatta e smantellata nell’intervallo esistenziale e imprevedibile che corre tra il trasloco e lo sgombero. Il progetto di un’architettura di lunga durata non può non tenere conto, nella selezione dei materiali, dei cicli del tempo della costruzione e delle esistenze – è il progetto per la costruzione egualitaria nella moltitudine contemporanea. Uno dei problemi consiste nel riformulare i criteri del progetto e della selezione dei suoi materiali senza più fingere, come è stato fatto per opportunismi di mercato, che il nomadismo fosse scomparso nelle civiltà cosiddette avanzate. 
I manuali per costruirsi tavoli, armadi e altri più complessi mobili abitabili stavano a testimoniare, dagli ultimi decenni del secolo scorso, l’insorgere di un’attitudine che sarebbe riemersa nella condizione sociale del nuovo secolo, sino a coinvolgere, con quella stessa attitudine riassunta nelle pagine di quei manuali, il fabbricarsi da soli un mobile alla scala di un habitat da includere in una struttura generale.
Il fatto che la mescolanza di materiali diversi prenda le sembianze di un meccanismo aperto alla partecipazione creativa non significa che questa prospettiva culturale e sociale, di suddivisione dei lavori e delle competenze, non fosse già apparsa ‒ era stata annunciata in termini lapidari con l’opera invisibile e con la strategia di un costruire nel tempo.

Il tempo
La prospettiva secolare dischiusa da progetti fondati su una costruzione composita, variamente articolata nella mescolanza dei materiali, e declinata anche nella forma dell’autocostruzione, è la stessa di quella che traspare dai progetti del recinto con muratura e carpenteria, e ha la prerogativa di essere fondata non tanto sulle caratteristiche tecniche di ogni singolo materiale, quanto piuttosto su un articolato concetto del tempo della costruzione. Quel tempo diventa ancor più durevole quando la costruzione si rivela capace di includere e potenziare strutture esistenti, nella prospettiva di un riuso teso a perfezionarne l’articolazione con parti nuove e variabili secondo un diverso arco temporale.
Il materiale dell’economia ambientale di lunga durata non è più quello presentato nelle descrizioni riportate dai manuali di costruzione, dai computi metrici estimativi, dai regolamenti edilizi che sono tutti strumenti normativi generati dalla meccanica costruttiva affermatasi nei due secoli passati e messi al servizio delle logiche finanziarie di un capitalismo disceso in cantiere. Le stesse formule per il calcolo della statica delle strutture si sono sempre più conchiuse in un’astrazione matematica e geometrica adeguandosi ai prodotti industriali. La scienza delle costruzioni, nel ricercare l’ottimizzazione della materia per consentire una maggiore accumulazione di capitale, ha perseguito il traguardo con efficienza militare (era nata nelle caserme), solo grazie alla eliminazione del parametro della resistenza nel tempo di materia e struttura. Non è scontato che quell’apparato scientifico secolare si presti ad assecondare le nuove prospettive di progetto senza opporre resistenza ‒ la costruzione di lunga durata necessita di altri parametri scientifici.
La materia composta da sostanze concrete e da distillati di idee prende la forma di un costruire che occorre progettare in un tempo che sta oltre il suo fissarsi in lineamenti concreti, in un determinato momento storico. In fondo la quintessenza della materia dell’architettura non potrà che essere proprio quello contro cui la materia stessa si è sempre confrontata e scontrata: il tempo. E il tempo del costruire sta rapidamente cambiando i propri ritmi e impone la necessità di una nuova prospettiva secolare nel progetto degli elementi della costruzione e nella scelta dei materiali. Non potrà sussistere alcun progetto ecologico se prima non si assume a suo fondamento quel tempo. La consapevolezza dei cicli vitali, diversi per ogni singolo elemento nel modo di reagire ai mutamenti delle esistenze in una moltitudine, determinerà le scelte dei materiali e la tecnica della loro messa in opera, e indicherà le nuove verità dell’architettura in funzione del tempo della costruzione.

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