La ca­set­ta nel bo­sco

Questa casetta di vacanza di Origlio, al momento in pessime condizioni e in uno stato di abbandono, è la prima opera autonoma di Franco Ponti. Presenta tratti caratteristici del suo fare progettuale, come le travi sporgenti sulla facciata principale vetrata e le grandi imposte in legno, mentre il tetto, che si protende verso il dirupo, è diverso da lavori successivi.

Data di pubblicazione
10-07-2024

Sulle pendici del monte San Zeno, al margine del dirupo sul lato ovest del laghetto di Origlio sorge una piccola casa di vacanza costruita da Franco Ponti per un committente d’oltralpe. Nascosta dalla vegetazione, la si può scorgere abbastanza bene solo in inverno, dalla riva opposta del lago.

È una costruzione degli anni Cinquanta: ai ticinesi di allora non sembrava vero poter fare qualche soldo vendendo ai benestanti turisti discesi dal nord le ingrate terre lasciate dagli avi, e così si immaginavano l’entrata nella modernità. Prima dei piani regolatori, prima delle vicende della legge urbanistica, prima del Decreto federale urgente che cercava di mettere qualche argine al costruire ovunque, anche nei boschi. E questo bosco a strapiombo sul laghetto di Origlio doveva sembrare al giovane Ponti l’ideale per quello che potrebbe essere un primo esperimento delle sue convinzioni progettuali: l’ancoramento sul terreno, la presenza di rocce dalle quali i muri in pietra che definiscono la casa sembrano spuntare fuori in modo naturale. Una simbiosi quasi perfetta fra costruzione e natura.

Si tratta di una casa costruita probabilmente nel 1957, una delle prime opere di Franco Ponti: dopo il breve sodalizio con Peppo Brivio – dal 1948 al 1950 – e il lavoro fuori dal Ticino, nel 1955 torna e apre un proprio studio. In realtà questa è la prima casa progettata e realizzata senza la collaborazione di altri. Abbiamo pochi documenti:1 qualche fotografia, un disegno di facciata (un foglio della domanda di costruzione, datata dicembre 1956) e un paio di disegni di «vista sud-est». La faccenda curiosa è che su una di queste viste, non datata ma munita di cartiglio, dunque già abbastanza elaborata, il timbro è: arch. Franco Ponti, via P. Lucchini 7, che è esattamente l’indirizzo dello studio di Tita Carloni in quegli anni («Ho conosciuto Franco Ponti nel ’56, quando lavoravo nello studio di Tita Carloni. Passava la notte lì, dormendo su un materasso improvvisato» scrive Milo Navone)2. Dunque possiamo anche supporre che il progetto iniziale della casetta di Origlio sia antecedente all’apertura dello studio nel 1955. Oppure che in effetti l’apertura dello studio debba essere posticipata. Inoltre la facciata è diversa da quella poi realizzata ed è abbastanza sorprendente. La si potrebbe definire una «casa cannocchiale» con il tetto disegnato in pendenza verso valle invece che verso monte, come venne poi effettivamente realizzato. Dunque siamo al tema del tetto, elemento fondamentale nella progettazione di Ponti per gli anni a venire. Invece dei grandi tetti a vela o a piramide sulla testa di molte sue ville successive, protettivi come cappucci, qui abbiamo, almeno nella versione iniziale, un tetto che si protende verso il dirupo, sottolineato dal disegno di Ponti che esagera addirittura lo strapiombo: sembra quasi che la casa sia costruita su una parete di roccia verticale, solo addolcita dal bell’albero sullo sfondo.

Per il resto l’edificio presenta elementi del fare progettuale di Ponti che si vedranno in molte costruzioni successive come le travi sporgenti sulla facciata principale vetrata e le grandi imposte in legno: grandi orecchie che sporgono dalla facciata, protese verso il vuoto quasi a voler captare i fruscii delle lievi increspature del lago là sotto…. Elementi ben documentati in una delle poche fotografie dell’epoca e ripresi molte volte: ad esempio nella Villa Rossi a Vezia, costruita due anni dopo oppure nella casa Boillat sempre a Vezia progettata con Milo Navone all’inizio degli anni settanta.3 Ci sono poi i grossi muri in pietra e l’immancabile camino centrale che svetta sopra la copertura. Purtroppo è difficile approfondire l’analisi in mancanza di un disegno della pianta.

Oltre al fatto di essere la prima sua opera autonoma vi è anche un’altra ragione per ricordare questo edificio: sta cadendo a pezzi. Parecchie delle costruzioni di Ponti sono state snaturate: come ricorda Tita Carloni:4 i passaggi di proprietà, le trasformazioni del territorio, l’urbanizzazione hanno spesso avuto ragione dei sogni di «vita dentro la natura» di Ponti e dei suoi committenti. Questa casetta di vacanza invece appartiene sempre alla stessa famiglia, il bosco nel quale sorge è rimasto bosco, ma per ragioni non conosciute e probabilmente legate a faccende ereditarie è lasciata nel più completo abbandono. I rovi e gli alberi le sono cresciuti attorno. Il tetto è in cattive condizioni. La vegetazione sta sempre più avviluppando il fabbricato. Le terrazze e le scalette in pietra esterne sono ormai quasi inaccessibili. 

Come si potrebbe salvare?

 

Note

 

1. Nemmeno nell’archivio delle domande di costruzione del comune di Origlio esistono altri documenti.

 

2. Milo Navone, Ci univa la stessa passione, in Franco Ponti, architetto 1921-1984, FAAT, Bellinzona 1998, p. 12.

 

3. Si veda l’analogia con la bella fotografia di Casa Boillat sempre in Franco Ponti, architetto 1921-1984, cit., p. 22.

 

4. Tita Carloni, Un po’ come Epicuro, in Franco Ponti, architetto 1921-1984, cit., pp. 20-25.

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