Tra costruito e spazio aperto
Il tema del rapporto tra pieni e vuoti è ampiamente dibattuto in Ticino. Rispetto alla Svizzera tedesca, tuttavia, in questo caso sembra prevalere una circolazione incentrata più sui veicoli che sui pedoni, un’attenzione rivolta più alla grande scala del territorio e alla piccola del singolo intervento che a quella intermedia del quartiere, e un approccio al progetto residenziale in cui ricorrono maggiormente gli schemi a blocco e a schiera che quelli più favorevoli al fiorire della vita collettiva.
Un numero di Archi di un anno fa (5/2023) ha fornito lo spunto per una riflessione, elaborata con Stefano Guidarini e Andrea Roscetti, sulla questione dell’abitazione nell’ambito della Svizzera d’Oltralpe.1 Gli approfondimenti sviluppati in quell’occasione – su opere di TRIBU Architecture, Atelier Archiplein, Farra Zoumboulakis & Associés, Bearth & Deplazes Architekten, Degelo Architekten e Esch Sintzel Architekten – hanno messo in luce come, in questo specifico ambito geografico, la cultura del progetto di questi ultimi anni sia permeata da una più accentuata sensibilità per la sperimentazione tipologica, da un più coraggioso sguardo verso il costruire in verticale e, dal punto di vista dei procedimenti, da una maggiore confidenza con gli interventi di natura cooperativa.
L’opportunità di spostare il nostro sguardo su ciò che nello stesso momento sta accadendo nella Svizzera italiana ci obbliga a ripensare radicalmente le nostre categorie interpretative perché – registrata l’assenza di esiti significativi nell’ambito della sperimentazione sulla flessibilità distributiva, del progetto di case alte, di un approccio aperto nei processi realizzativi – i «reagenti» che dobbiamo introdurre per valutare le opere più recenti devono essere per forza ricalibrati.
Oltre alla naturale propensione per l’innovazione costruttiva, che da lungo tempo permea il saper fare ticinese anche in ambito residenziale, un campo d’indagine che ci sembra poter offrire qualche ulteriore possibilità di riflessione è quello relativo al rapporto tra il vuoto e il costruito.
Le condizioni al contorno – rispetto al contesto in cui ci siamo mossi un anno fa – sono certamente differenti. Cambia il modo di intendere la mobilità, con le conseguenze sulla funzionalità degli spazi aperti dovute a una circolazione incentrata più sui veicoli che sui pedoni, si polarizzano i modi di guardare paesaggio urbano e naturale, con un’attenzione rivolta più alla grande scala del territorio e alla piccola scala del singolo intervento piuttosto che a quella intermedia del quartiere o del sistema plurale di edifici, si evolve la stessa cultura del progetto in questo ambito tipologico, con operazioni in cui – nel caso delle abitazioni collettive – ricorrono sempre più spesso gli schemi a blocco o a schiera che quelli più favorevoli al fiorire della vita collettiva (come gli impianti a corte). Sono tutti temi da cui, con le dovute eccezioni, prendono vita diverse tendenze: più parcheggi che giardini e aree pedonali nell’attribuzione delle destinazioni funzionali, più frammentazione che concentrazione nell’organizzazione dei vuoti urbani, più attenzione allo spazio aperto-privato che a quello aperto-collettivo nella prefigurazione dei possibili fruitori.
Un dibattito in progress
La selezione dei casi studio presentati in questo numero mira a rappresentare, oltre che una specificità della Svizzera italiana, anche una certa eterogeneità negli esiti di questa ricerca.
Questo obiettivo richiede di tornare a riflettere sul concetto di soglia, in quella sua particolare accezione – ben inquadrata da Sergio Crotti in uno scritto di qualche anno fa – di figura architettonica simile a una «increspatura di superficie» che, nel passaggio tra sistemi aperti e chiusi, può assumere il ruolo di «condensatore di relazioni molteplici», di «nucleo generatore di trasformazioni» e di «medium della comunicazione interscalare».2
Proprio la soglia – come aggiunto da Mauro Ponzi e Dario Gentili in un’analisi più recente – pare tra l’altro imporsi come topografia più rappresentativa della spazialità contemporanea esigendo, alla luce dei mutamenti che la stanno interessando, una ricalibrazione di opposizioni ermeneutiche consolidate come quelle tra proprio ed estraneo o tra interno ed esterno.3
Sulla relazione tra vuoto e costruito, sul loro ruolo nella configurazione del territorio ticinese, sulle problematiche e sulle potenzialità di questo rapporto nella città contemporanea, diversi sono gli spunti di riflessione proposti in questi anni da libri e riviste o in occasione di attività di insegnamento o di ricerca.
Già nel 1999 Archi ha dedicato una riflessione a più voci proprio su questo aspetto. Nel suo testo Da Piazza Riforma a Piazza Ikea, che apre la serie degli interventi, Claudio Ferrata articola la sua riflessione in tre passaggi. Il testo inizialmente ricostruisce le tappe dell’evoluzione urbana in ambito ticinese, che vanno dal passaggio dalla forma finita alla forma aperta tra il Settecento e l’Ottocento alla differenziazione degli spazi e alla città-territorio del Novecento. Poi – esaminando l’evoluzione di Lugano, un piccolo borgo diventato nodo strategico della rete federale (tra il sistema metropolitano lombardo e quello di Zurigo) – sostiene che il significato di urbanità, intesa come «qualità delle relazioni tra gli individui e la città» (come le pratiche sociali, la produzione della cultura e i rapporti con il costruito), ha subito in questi anni una profonda trasformazione. Infine, proiettandosi alla situazione in atto alla fine degli anni Novanta, rileva la necessità di recuperare i valori ambientali e di «qualificare simbolicamente e architettonicamente» le polarità più rappresentative della città-territorio, per far sì che il cittadino si identifichi con maggiore convinzione con le parti che la costituiscono.4
Sempre nello stesso numero – auspicando una risposta alle problematiche in gioco attraverso uno strumento pianificatorio a scala vasta, piuttosto che a un operare per isole separate – Paolo Fumagalli5 conclude che una città, come un organismo vivente in continua trasformazione, abbia due sole possibilità di reazione: una passiva, costituita da soluzioni occasionali ed episodiche che portano a un semplice «aggiustamento» della trama viaria e del costruito, e una attiva, che prelude a una volontà trasformativa della struttura urbana e conferisce al processo un preciso indirizzo attraverso la sua iscrizione in un disegno più ampio.
Questo tema è ripreso dalla stessa rivista in un approfondimento del 2005 dedicato al Ticino, nel quale Cristiana Guerra e Andrea Felicioni6 annotano come una condizione necessaria per migliorare la fruizione della città sia il ripensamento del valore dei vuoti, da intendere non solo come spazi pubblici in senso stretto ma anche come aree totalmente accessibili o anche solo visivamente fruibili (come le aree di pertinenza degli stadi, dei cinema, delle palestre e delle scuole). Tali spazi, proseguono gli autori, sono oggi pensati in modo sempre più sommario o solo in funzione della circolazione veicolare, e reclamano quindi attenzione – «più della via e della piazza tradizionale» – non solo rispetto alla qualità tecnica e funzionale degli interventi ma anche alla loro configurazione d’insieme e alla solidità dei legami tra i frammenti che li compongono.
Anche oggi il rapporto tra pieni e vuoti è al centro del dibattito culturale. Un contributo significativo emerge dalle considerazioni di Adrian Streich e Roland Züger pubblicate su Werk, Bauen + Wohnen nel 2014, che denunciano come le logiche di ottimizzazione economica che hanno orientato alcune operazioni di questi anni abbiano determinato un decadimento della qualità dei vuoti, il cui progetto viene elaborato quando il budget è già esaurito e quindi la sistemazione delle aree di soglia rischia di essere affrontata in modo frettoloso, con poco tempo e risorse limitate.7
Sull’impoverimento degli spazi aperti sono imperniate anche le riflessioni di Claudio Ferrata raccolte nel 2017 in Il territorio resistente. Qualità e relazioni nell’abitare, che da una parte ci ricordano come le trame di sentieri e strade che costruiscono la città possano a volte connettere ma a volte anche separare, generando «limiti, fratture, barriere, passaggi, soglie»8 a seconda delle condizioni, e dall’altra declinano questi processi proprio nella Svizzera italiana, spiegando come l’attraversamento di AlpTransit Gottardo abbia determinato nuove dinamiche alla scala sovralocale e dato vita a nuove forme di organizzazione. Il riferimento è al processo di ecogenesi e di «fabbricazione» dei territori teorizzato qualche tempo prima da Claude Raffestin, quel «ciclo TDR» – costituito dalle tre fasi della Territorializzazione, della Deterritorializzazione e poi della Riterritorializzazione9 – che, secondo Ferrata, può ritenersi applicabile anche al caso ticinese.10
In questi anni proprio lo studio del rapporto tra costruito e spazi aperti è stato poi al centro delle attività coordinate da Michele Arnaboldi nel contesto del Laboratorio Ticino. Nella pubblicazione che raccoglie i primi esiti di questa indagine, commentando le visioni opposte dell’Accademia di architettura su alcuni cardini metodologici della ricerca, Aurelio Galfetti11 ha osservato come il dibattito sullo spazio pubblico sia stato affrontato nella scuola secondo due punti di vista apparentemente inconciliabili: per il primo, dal momento che la mobilità contemporanea rende superflue le aree un tempo dedicate al vivere urbano, lo spazio pubblico è inutile e quindi non ha senso progettarlo; per il secondo, che scaturisce da una concezione più organica della città, lo spazio pubblico è invece essenziale e deve quindi essere posto tra le priorità della sua pianificazione. Tale condizione, ha auspicato Galfetti, va posta al centro del confronto e discussa attraverso conferenze e seminari, con l’obiettivo di gettare i semi di una nuova cultura territoriale che qualifichi la scuola a livello internazionale e produca ricerche dedicate e operative nello scenario ticinese.
Sollecitato dalla crisi del territorio contemporaneo, ed estendendo il concetto di spazio pubblico ai vuoti delle aree edificate (con particolare riferimento alle infrastrutture per la mobilità),12 Michele Arnaboldi illustra nella stessa pubblicazione la sua traiettoria di ricerca, spiegando come il lavoro svolto dal Laboratorio Ticino sia focalizzato su un’idea di progetto territoriale inteso come strumento di indagine e come esito di uno studio di carattere paesaggistico e urbanistico incentrato sia sul Ticino che su altre realtà europee. L’obiettivo fondamentale di tale perlustrazione, spiega l’autore, è di prevedere tecniche di densificazione che si affranchino dalla filosofia dei vecchi piani regolatori, che siano pensate nelle tre dimensioni, che si ancorino alle tracce urbane sovrapposte nel tempo e che siano fondate sulla concezione dello spazio pubblico come componente strutturante della città.
Utile a completare questa riflessione – per il suo integrare la diffusa critica sulla qualità degli spazi aperti con una doverosa precisazione sul contributo a questa tendenza derivante dalle scelte tipologiche e insediative sul costruito – è anche una breve ma prezioso approfondimento del 2020 di Martino Pedrozzi che, in Casualità e disegno. Edilizia residenziale e spazio pubblico, osserva come il tipo edilizio più ricorrente nella città di Lugano – ma potremmo estendere questa considerazione a gran parte della Svizzera italiana – sia la palazzina, che si configura come un volume posto al centro del mappale che non cerca relazioni con il contesto e che porta spesso con sé una riduttiva concezione del vuoto inteso come «spazio residuo dato dalle distanze tra le costruzioni».13 La reiterazione di questa modalità insediativa – osserva correttamente Pedrozzi – non genera città ma dispersione, contribuendo sensibilmente alla diffusione di spazi aperti frammentari e isolati, generalizzati e amorfi perché esito di processi individuali e non di un progetto unitario.
Un ultimo spunto di riflessione deriva da Archi 1/2024 che, nel fotografare i processi di rigenerazione urbana in atto in una nuova shrinking city come Chiasso, lambisce in più occasioni il tema dello spazio aperto, dal contributo di Michele Arnaboldi14 – che racconta la gestazione del progetto della Città dei Laghi, situando il punto di partenza di questo percorso nella ricerca Public Space in the Città-Ticino of Tomorrow svolta all’Accademia di architettura di Mendrisio con Aurelio Galfetti e pubblicata nei quattro volumi Atlante Città Ticino – al commento di Muck Petzet agli esiti del Diploma 2020 della stessa scuola, che dimostrano come proprio «gli spazi vuoti, i terreni incolti» e «le infrastrutture superflue»15 possano trasformarsi da problemi in opportunità e alimentare, con il loro recupero, la crescita del territorio in termini di qualità dell’abitare urbano e di senso di appartenenza.
Tre variabili
Considerata l’attualità del dibattito e delle dinamiche in gioco, la selezione dei casi studio mira in questo caso a rappresentare la ricchezza delle possibili espressioni del rapporto tra vuoto e pieno nel territorio ticinese rispetto a tre variabili fondamentali: la prima è di carattere morfologico-insediativo e riguarda la relazione di coerenza tra il progetto dello spazio aperto e del costruito, la seconda attiene la questione amministrativa e consiste nel rapporto di coincidenza o autonomia tra proprietà e gestione degli spazi aperti, la terza appartiene invece all’ambito funzionale e deriva dal taglio dimensionale, dalla modalità di aggregazione e quindi dalla conseguente unitarietà o frammentazione delle singole parti.
Il Parco Casarico a Sorengo (2020-2022) è l’esito di un proficuo intreccio tra un progetto architettonico, di Attilio Panzeri & Partners, e un progetto di paesaggio, curato da De Molfetta Strode. Dal punto di vista funzionale l’intervento, vincolato a un Piano di quartiere di cui rappresenta la prima fase, è caratterizzato da una serie di situazioni che, alternando superfici minerali e vegetali, zone secche e umide, acqua ferma e acqua corrente, mira a incrementare la biodiversità e, come nel modello della sponge city a cui fa riferimento, la permeabilità dei terreni. Per quanto riguarda il legame tra costruito e spazio aperto, il disegno irregolare del suolo ricalca le asperità orografiche e riverbera nella configurazione degli edifici residenziali, che appaiono come rocce sfaccettate alla base del pendio. Il tema gestionale, infine, configura un’innovativa concezione del valore del vuoto, di proprietà pubblica ma gestito da privati, dello spazio superiore occupato dalla vecchia casa colonica – oggi utilizzata come centro sociale di quartiere – e del giardino che l’avvolge, dotato di una terrazza per il caffè, di un campo da bocce, di un teatro all’aperto scavato nella collina, di una collina di ulivi, di un frutteto e di alcuni orti comunitari.
Il Parco di Villa Costanza a Lugano (2021-2022) di De Molfetta Strode, che prende vita dalla ricucitura di due proprietà esistenti, è composto da un sistema di spazi di transito e di sosta connessi da un sentiero lungo il quale si sviluppa una sequenza di episodi architettonici: la Fontana dei Fossili, l’area eventi all’aperto, una zona giochi e una terrazza (occupate da una fontana e da una pergola), lo spazio dedicato agli orti e, nel punto più basso del pendio, la Piazza delle Nuvole. Considerando la natura del progetto – la sistemazione di un vuoto davanti a un edificio esistente – il disegno del suolo si pone in modo indipendente rispetto alla sua schematica impronta, proponendo un percorso curvilineo irregolare le cui anse permettono di addolcire la discesa e di rendere raggiungibili tutti gli episodi che costellano il tracciato.
Il progetto per la Residenza Carèsg a Verscio (2022-2023) di Atelier Rampazzi vede una bivalente organizzazione dell’insediamento che deriva da una suddivisione schematica dell’edificio – un blocco regolare scandito in tre parti uguali – e da un assetto meno rigido degli spazi aperti, in cui si proietta la tripartizione del volume ma che poi assume una propria configurazione per fasce funzionali (come il vialetto di ingresso e poi più all’interno i piccoli giardini sul lato nord, o il marciapiede e poi i parcheggi e gli ingressi ai giardini sul lato est) caratterizzate da una serie di variazioni (come l’alternarsi di un percorso, un parcheggio, un giardino, ancora un parcheggio e due accessi sul lato est).
Il Complesso residenziale e commerciale in via Turconi a Mendrisio (2017-2022) di Mihail Amariei, che fa parte di una più ampia operazione di riqualificazione del comparto, mostra una libera interpretazione dello spazio aperto, che vede una successione di superfici verdi e minerali senza soluzione di continuità tra pubblico e privato e con una rinnovata attenzione alle zone interstiziali, che estendono lo spazio pubblico della strada a tutta la profondità del lotto. Dalla strada si passa al marciapiede, da qui all’ingresso delle attività commerciali e poi, superato un cordolo basso, a un giardino costituito da un percorso parallelo alla strada e, dopo un filare di alberi di separazione, dallo spazio verde su cui si affacciano le abitazioni al piano terra. Dal punto di vista insediativo, il vuoto tra gli edifici non ricalca la suddivisione fondiaria e lascia aperta la possibilità di una suddivisione fisica in futuro.
La ristrutturazione dello studio Tibiletti Associati all’interno del Complesso in via Volta a Lugano (2021-2022) ha fornito l’occasione per una più ampia operazione di riqualificazione di una proprietà composta da tre edifici, due corpi abitativi da cinque piani (già oggetto di un precedente intervento), un corpo a destinazione mista da due piani e una corte a giardino dotata di orti condivisi. Gli spazi aperti che cingono lo studio, arretrato rispetto all’infrastruttura, sono l’esito di una serie di gesti controllati ed essenziali: dal lato strada l’accesso avviene attraverso un camminamento in granito alternato a ghiaia, con un albero ad alto fusto a segnare l’entrata principale, dalla parte opposta il volume si affaccia su un patio dedicato che porta all’accesso secondario. Il progetto rappresenta un felice esempio di ricucitura del costruito grazie a un approccio – quello del «preservare e continuare a costruire» (Weiterbauten) – caratterizzato dal senso della misura nel rapporto tra nuovo ed esistente ma anche dalla capacità di creare sistemi a partire da un mosaico eterogeneo di frammenti e aree interstiziali.
A contrapporsi alle opere finora menzionate, ove lo svolgimento della relazione tra costruito e spazio aperto si dispiega prevalentemente in pianta e quindi in orizzontale, un caso di articolazione verticale è rappresentato dall’edificio residenziale a Daro (2022-2024) di Guidotti e Frapolli. Il corpo di fabbrica, che assume un valore anche paesaggistico per il suo posizionamento lungo uno scosceso pendio, è costituito da un prisma vetrato allungato definito in pianta da una linea spezzata in un solo punto, una serie di corpi distributivi che lo sollevano dal terreno e, alla base di questi, una grande terrazza. Tali spazi, che riprendono la sagoma del livello superiore, offrono un’area di contemplazione verso il contesto circostante e al contempo rimarcano – nella loro visibilità anche alla lunga distanza – il distacco della costruzione dal suolo.
Sempre verticale è lo svolgimento dell’edificio residenziale in via Carona a Paradiso (2018-2020) di DF_DC, un corpo di fabbrica collocato su un terreno pendente che, per sviluppare appieno le possibilità volumetriche consentite, satura il lotto quasi per intero. Il volume, caratterizzato dall’ossatura strutturale a vista in cemento, presenta al piano inferiore uno spazio interamente dedicato ai parcheggi, lasciati non interrati e scanditi dall’attacco a terra delle colonne del poderoso esoscheletro, dal piano primo al piano terzo le quattro unità abitative di ciascun piano e al piano quarto e quinto – in un piccolo volume in cui il telaio piega leggermente verso l’esterno – un ulteriore appartamento per piano. Lo spazio aperto coincide col percorso comune di accesso, che occupa quasi interamente il vuoto al piano inferiore, e con le superfici private di pertinenza delle abitazioni al piano quarto, frutto della giustapposizione di una superficie minerale e una vegetale, che affiancano il corpo più alto con le abitazioni panoramiche.
Un ulteriore esempio di intervento sulla piccola dimensione è infine la Residenza Calicanto a Minusio (2020-2023) di Remo Leuzinger, ove la conformazione a L dello spazio comune aperto – ricavato dall’arretramento dell’edificio dalla strada, e morfologicamente coerente con la sua sagoma irregolare e mistilinea – è individuato da un cambio di materiale verso l’infrastruttura e dalla linea delle balaustre verso i giardini posteriori. La sua funzionalità essenziale, che si concretizza nell’inserimento di un unico albero, nella formazione di un pergolato, nell’inserimento di una pensilina e nelle stesse variazioni materiche mostrano come la qualità dello spazio aperto possa derivare anche da pochi gesti elementari.
Riattribuire un valore
In un’indagine svolta su Archi tre anni fa sui luoghi collettivi nella città contemporanea,16 abbiamo scandagliato il territorio ticinese – passando da Ascona a Balerna, da Bellinzona a Canobbio, da Gandria a Mendrisio, da Lodrino a Lugano e a Vacallo – alla ricerca di esempi virtuosi nell’ambito del progetto del vuoto.
Differenti sono i processi generativi – in quel caso si trattava di interventi dedicati su spazi di transito e di sosta in senso ampio, in questo invece sono occasioni spesso nate insieme alla definizione di un costruito – ma anche in queste operazioni ci pare di cogliere un’attenzione agli aspetti qualitativi dello spazio aperto che prescinde dalla sua natura e dimensione (un giardino, un parco, un’area di sosta o un percorso). Non sempre – per questioni di budget, di tempi ristretti, di disinteresse per gli usi non solo privati, di poca sensibilità alle questioni ambientali – l’elaborazione di sistemi complessi costituiti da pieni e vuoti viene realizzata per intero. L’auspicio, nell’ottica di un miglioramento della qualità dell’abitare nel territorio ticinese, è che questa tendenza si inverta, riconoscendo anche all’architettura a volume zero – come le buone pratiche attuate a Bellinzona, Mendrisio, Lugano, Minusio, Paradiso, Sorengo, Verscio ci hanno mostrato – la sua potenziale capacità di migliorare le condizioni ambientali, riscoprire i vantaggi del comfort outdoor e favorire l’instaurazione di nuove relazioni.
1. M. Moscatelli, Costruire e coabitare, tra architettura e città. La residenza collettiva nella Svizzera d’Oltralpe, «Archi», 2023, n.5, pp. 20-25.
2. S. Crotti, Figure architettoniche: soglia, Unicopli, Milano 2006, pp. 17-18.
3. M. Ponzi, D. Gentili, Soglie. Per una nuova teoria dello spazio, Mimesis, Milano-Udine 2012, p. 11.
4. C. Ferrata, Da Piazza Riforma a Piazza Ikea, «Archi», 1999, n. 2, pp. 14-17.
5. P. Fumagalli, Alla ricerca di un’idea di città per Lugano, ivi, p. 21.
6. C. Guerra, A. Felicioni, Verso quale città? Riflessioni sulla formazione e trasformazione dello spazio urbano in Ticino, «Archi», 2005, n. 4, p. 12.
7. «Ein Schauplatz der wirtschaftlichen Optimierung ist das Wohnumfeld. Am direktesten sind die Entwürfe der Landschaftsarchitekten diesen Zwängen ausgelie-fert, denn die Umgebung wird zuletzt realisiert. Oft ist das Budget dann bereits aufgebraucht und die Kultivierung der Schwellenräume droht verloren zu gehen». A. Streich, R. Züger, Architektur des sozialen Raums, «Werk, Bauen + Wohnen», 101, 2014, p. 39.
8. C. Ferrata, Il territorio resistente. Qualità e relazioni nell’abitare, Casagrande, Bellinzona 2017, p. 16.
9. C. Raffestin, Territorializzazione, deterritorializzazione, riterritorializzazione e informazione, in A. Turco (a cura di), Regione e regionalizzazione, Franco Angeli, Milano 1984, p, 78.
10. C. Ferrata, Il territorio resistente. Qualità e relazioni nell’abitare, cit., p. 19.
11. A. Galfetti, Il progetto dello spazio pubblico, in M. Arnaboldi (a cura di), Laboratorio Ticino, Mendrisio Academy press, Mendrisio 2019, p. 12.
12. M. Arnaboldi, Laboratorio Ticino: progetti, ivi, p. 70.
13. M. Pedrozzi, Casualità e disegno. Edilizia residenziale e spazio pubblico, Casagrande, Bellinzona 2020, p. 3.
14. M. Arnaboldi, La Città dei Laghi. Un atlante per il territorio insubrico, «Archi», 2024, n. 2, p. 8.
15. M. Petzet, Il potenziale urbano tra Chiasso e Ponte Chiasso. AAM-USI: Diploma 2020, ivi, p. 23.
16. Cfr. «Archi», 2021, n. 4